Gabriele Lavia: io, tra Leopardi e Wilde

Gabriele Lavia: io, tra Leopardi e Wilde

L’attore in scena stasera a Villa Campolieto

Serate all’ombra del Vesuvio per Gabriele Lavia che impegnato fra gli omaggi «Lavia dice Leopardi» e «Le favole di Oscar Wilde», stasera alle 21 chiude gli appuntamenti del Festival delle Ville Vesuviane a Villa Campolieto.

«Sì – spiega l’attore di origine siciliana – un finale nel segno di due grandi autori, entrambi passati per Napoli anche se con alterne fortune. Il primo ospite fino alla fine dei suoi giorni dell’amico Antonio Ranieri, l’altro giunto in Campania nella speranza di
un’accoglienza diversa, più tollerante nei confronti della sua omosessualità». Lavia si riferisce alla vacanza partenopea del 1897, quando Wilde soggiornò a Villa Del Giudice a Posillipo in compagnia dell’amato Bosie, ovvero il giovane amante Alfred Douglas, col quale si recò successivamente anche a Capri. «Fu una brutta esperienza – continua l’attore – perché un articolo di Matilde Serao e poi la cattiva accoglienza degli ospiti inglesi dell’Hotel Quisisana fecero sì che ben presto lo scrittore lasciasse l’Italia per riparare a Parigi». Una vita difficile, resa tale anche dalla coesistenza fra la sua famiglia e i suoi amori «esterni». «Stasera leggerò alcune favole, probabilmente “Il principe felice” e “Il razzo eccezionale”, anche se come sempre deciderò all’ultimo momento a seconda dell’atmosfera. I racconti brevi furono scritti proprio per i due figli, Cyril e Vyvyan, trasferendo a queste storie, generalmente dal finale triste, le sue due anime, quella mondana e vitalissima e quella malinconica e compassionevole, come accade proprio alla statua del Principe felice e alla piccola rondine e che è possibile ritrovare anche in “L’usignolo e la rosa, “Il gigante egoista” e “L’amico devoto”». Tornando a Leopardi, Lavia pensa di approfondire in futuro proprio «La ginestra», la sua penultima lirica, scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco nella villa Carafa d’Andria-Ferrigni. «Un testo lungo e complesso, un vero e proprio lascito poetico e filosofico che sto studiando da un po’ e che continuerò ad analizzare anche nei prossimi tempi, sperando di poterlo proporre un giorno al pubblico, magari proprio nella villa sul Vesuvio ribattezzata la Ginestra. Dove fu pensata e composta».

Infine la prossima stagione teatrale. «Sarò a Napoli al Diana in febbraio – conclude Lavia – con “Il berretto a sonagli” di Pirandello, autore a cui torno dopo la recente esperienza con “I giganti della montagna”, ed in cui ci sarà anche una grande sorpresa, che scoprirete venendo a teatro».

Stefano de Stefano

Fonte Corriere del Mezzogiorno

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13.-ANTONIO-PETITO

13 luglio 2025 |  VILLA CAMPOLIETO | ERCOLANO ORE 19:30

TEATRO

NELLE STANZE DEL DUCA DI SANGRO

infinito petito

Tre surice dint' a no mastrillo

di ANTONIO PETITO
con Rosario D'Angelo, Diego Consiglio, Maria Teresa Iannone, Vincenzo Bove, Vincenzo Vecchione
adattamento e regia Riccardo Citro

Pulcinella è molto più di una maschera: è il residuo attivo di una memoria teatrale che non ha mai smesso di vivere. È uno strumento vivo e presente, capace di guidare l’attore e di imprimere una forma precisa alla scena. Ogni volta che si mette in scena una “pulcinellata”, la sfida è sempre la stessa: far esplodere la sua potenza comica, rinnovare la sua vocazione parodica, attualizzarne la forza. Pulcinella non ha bisogno di resurrezioni nostalgiche: è vivo ogni volta che lo si lascia agire. “Tre surice dint’a no mastrillo” di Antonio Petito, è una piccola macchina perfetta: una partitura fatta di parole essenziali, gesti rapidi, e soprattutto spazi per il gioco attorale. Nella sua apparente leggerezza, il copione nasconde un meccanismo teatrale millimetrico, che regge il tempo e lo sguardo contemporaneo. Petito non spiega né giustifica: presenta tipi umani, desideri ossessivi, corteggiamenti grotteschi. Pulcinella, degradazione farsesca dell’innamorato romantico, è coinvolto in una corsa assurda e violenta verso un oggetto del desiderio tanto erotico quanto irreale: la figlia della tavernara. In questa versione, la farsa diventa specchio amaro del nostro presente. L’amore si trasforma in consumo, l’oggetto desiderato è un bene da conquistare e bruciare. I tre pretendenti sono tre maschere della pulsione cieca, incapaci di reale relazione, immersi in un automatismo che è, oggi, lo specchio della nostra bulimia affettiva e sessuale. La scena si fa così essenziale, quasi crudele, per lasciar emergere un riso secco, violento, quasi animalesco

SPETTACOLO TEATRALE E SPETTACOLO DI DANZA
INTERO: € 10,00
RIDOTTO UNDER 25 E OVER 65: € 7,00
Biglietteria fisica la sera dello spettacolo dalle ore 18:00