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Il "corpo" della Villa: la cava, il romitaggio, l’eremo vanvitelliano

La rampa di piperno che conduce nel giardino in basso, ci introduce nell’area del Romitaggio, nato dalla successiva sistemazione vanvitelliana della cava scavata nel banco di lava del 1631.

Grazie ai documenti che attestano i pagamenti effettuati da Don Luzio, si evince la presenza di una cava di “pietra di montagna” nelle adiacenze della villa da cui si ricavò gran parte delle materie prime utili nella prima fase del cantiere. Sfruttando il banco di lava che copre quasi tutto il fondo rustico, i maestri pipernieri ingaggiati da Mario Gioffredo prelevarono una buona parte del materiale indispensabile per la nascita della villa. Tra 1761 e 1762 sotto la direzione di Giustiniani, la cava venne sistemata come un anfiteatro sul cui fondo – accessibile mediante una larga rampa – si trovava un giardino, dal quale si poteva penetrare al di sotto dello spessore di roccia su cui gravavano le fondamenta del palazzo, tra cunicoli e “grottoni” praticati dai maestri pipernieri e fabbricatori per estrarvi il materiale da costruzione.

Con l’arrivo di Luigi Vanvitelli, nel 1763, avvengono varie innovazioni rispetto alle aree di lavoro e soprattutto nasce il nucleo del Romitaggio che ospiterà in seguito una frateria francescana. Si parla infatti di costruzione ex novo di un corpo o di corpi di fabbrica: forse ci si riferisce proprio alle nuove strutture che andranno a formare la nuova area conventuale, che nei documenti più tardi sarà definita “romitorio”. Circa 8 mt più in basso rispetto alla strada principale, il piccolo nucleo conventuale viene conformato con al centro con un piccolo giardino a parterres con fontanone nell’intersecazione dei viali. Panchine di pietra e “pomari” adornavano l’area verde ad uso esclusivo del piccolo nucleo di frati di stanza nel casino.

Per raggiungere le cellette pensili del romitaggio si sale dal giardino “pomario” attraverso una suggestiva scala ricavata nel banco di lava e riadattato da Vanvitelli a seguito della riqualificazione dell’antica cava di pietra. Si attraversa in tal modo la pietra grezza lavorata, con l’implementazione di arconi a sostegno del ballatoio superiore, dove si intervallano le celle monacali, la piccola chiesa dei frati e il refettorio sul fondo.

Nell’intersezione dei due corridoi sospesi sulle arcate laviche, la chiesetta circolare oggi si presenta del tutto priva degli arredi originali, ma suggestiva nel suo contrapporsi all’ambiente sottostante scavato nella lava che ne rappresenta le fondamenta. I documenti ci descrivono nel dettaglio le commesse per la ricca decorazione dell’interno della chiesa, dedicata alla Madonna dei Sette Dolori, i cui lavori decorativi sono datati nel 1770 -1772; una statua di terracotta della Vergine era ospitata nella piccola nicchia dell’altare, eseguita da Gaetano Navarra, mentre un pagamento a Crescenzo La Gamba cita la commessa per affrescare l’invaso con sette figure di frati eremiti francescani.

Ancora oggi sulla parete esterna del refettorio, ci accoglie la preziosa figura maiolicata di un frate che sporge con un otre di vino. Il piccolo mondo monastico francescano, come riportato nella documentazione era dotato anche di un piccolo orto per le necessità alimentari del nucleo di religiosi (in un’area oggi oltre le moderne mura perimetrali della Villa).

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Curiosità

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13.-ANTONIO-PETITO

13 luglio 2025 |  VILLA CAMPOLIETO | ERCOLANO ORE 19:30

TEATRO

NELLE STANZE DEL DUCA DI SANGRO

infinito petito

Tre surice dint' a no mastrillo

di ANTONIO PETITO
con Rosario D'Angelo, Diego Consiglio, Maria Teresa Iannone, Vincenzo Bove, Vincenzo Vecchione
adattamento e regia Riccardo Citro

Pulcinella è molto più di una maschera: è il residuo attivo di una memoria teatrale che non ha mai smesso di vivere. È uno strumento vivo e presente, capace di guidare l’attore e di imprimere una forma precisa alla scena. Ogni volta che si mette in scena una “pulcinellata”, la sfida è sempre la stessa: far esplodere la sua potenza comica, rinnovare la sua vocazione parodica, attualizzarne la forza. Pulcinella non ha bisogno di resurrezioni nostalgiche: è vivo ogni volta che lo si lascia agire. “Tre surice dint’a no mastrillo” di Antonio Petito, è una piccola macchina perfetta: una partitura fatta di parole essenziali, gesti rapidi, e soprattutto spazi per il gioco attorale. Nella sua apparente leggerezza, il copione nasconde un meccanismo teatrale millimetrico, che regge il tempo e lo sguardo contemporaneo. Petito non spiega né giustifica: presenta tipi umani, desideri ossessivi, corteggiamenti grotteschi. Pulcinella, degradazione farsesca dell’innamorato romantico, è coinvolto in una corsa assurda e violenta verso un oggetto del desiderio tanto erotico quanto irreale: la figlia della tavernara. In questa versione, la farsa diventa specchio amaro del nostro presente. L’amore si trasforma in consumo, l’oggetto desiderato è un bene da conquistare e bruciare. I tre pretendenti sono tre maschere della pulsione cieca, incapaci di reale relazione, immersi in un automatismo che è, oggi, lo specchio della nostra bulimia affettiva e sessuale. La scena si fa così essenziale, quasi crudele, per lasciar emergere un riso secco, violento, quasi animalesco

SPETTACOLO TEATRALE E SPETTACOLO DI DANZA
INTERO: € 10,00
RIDOTTO UNDER 25 E OVER 65: € 7,00
Biglietteria fisica la sera dello spettacolo dalle ore 18:00